Mi sono ammalata a quarantanove anni. Per me, come per molte altre persone, il cancro è stato uno spartiacque.
Il cancro, di certo mi ha garantito una sotterranea e persistente paura, una sottile angoscia che affiora al minimo doloretto o al sentire delle altrui sventure, delle prognosi infauste di altre donne come me. Però mi ha fatto anche da “relativizzatore”, mi ha insegnato il Qui e Ora, mi ha dotato di quell’euforia che si prova quando si pensa “potrei non avere molto tempo davanti”.
All’inizio le terapie sono state davvero invalidanti. Dolori ovunque, la cosiddetta fatigue, i valori ematici che erano una collezione di asterischi. E il corpo? Stanco, imbolsito, per non parlare di quel taglio sul seno sinistro, uno squarcio cui sfido qualunque chirurgo estetico a porre rimedio. Sorrido mentre penso a quanto potesse, in quella situazione, importarmi del sesso. Con la mia pelle che nel tempo era diventata sottile, pronta a spaccarsi alla prima sollecitazione, al primo appassionato sfregamento. E il desiderio? Quanto potevo desiderare e sentirmi desiderabile se ero così brutta, stanca e vecchia? Piano piano ho cominciato a riprendermi ma è stato un lavoro solo mio. Mi sono informata, documentata, e ho visto che potevo stringere un patto di coabitazione con questo nuovo stato, che dovevo farmela piacere questa convivenza: il tumore d’altronde non mi aveva insegnato che non era il caso di sprecare altro tempo nel brodo dell’autocommiserazione? Non è stato facile affrontare questa menopausa che, nel mio caso, era arrivata nel giro di un mese.
Per le altre donne, invece, è un processo lento, sicuramente difficile da metabolizzare, ma con a disposizione un tempo più lungo per essere digerito. Io ho dovuto ingoiare, senza la minima masticazione. Ho al mio attivo quattro applicazioni di laser terapia e so di dover seguire una routine fatta di ovuli all’acido ialuronico ma anche uno stile di vita che mi induca la felicità, quindi mangiar poco e bene e fare attività fisica, e altre pratiche affinché i miei genitali – e il mio cervello! – non diventino delle zone anecumeniche. Non sono più una giovane donna ma ciò non mi impedisce di immaginare come mi sarei sentita se tutto questo mi fosse accaduto vent’anni fa. Il mio pensiero quindi va a chi è colpito dal cancro a venticinque, trenta, trentacinque anni. Come vive questo tsunami? Quali rimedi, quali soluzioni trova agli effetti collaterali delle terapie? E oltre agli (e)ffetti che succede agli (a)ffetti? Cosa raccontano queste donne ai partners, giovani quanto loro e, per di più, sani? Come si mettono in comunicazione questi due mondi, quello sano, “ormonale” e quello malato e “chimicamente modificato”? E quanti medici sono disposti a vedere nei loro pazienti non soltanto un tumore ma una Persona?
Queste sono solo alcune delle domande che mi pongo e voglio dare il mio contributo a trovare delle risposte, e lo faccio anche attraverso Sex and the cancer e la mia attività di volontaria in ambito oncologico.