Non rassegniamoci al dolore pelvico cronico
“La diagnosi di dolore pelvico cronico è una ammissione di fallimento diagnostico e terapeutico”: è un’affermazione dura quella della dottoressa Antonella Curcio, medico ginecologo che da oltre 40 anni si occupa della salute intime femminile, con particolare attenzione all’ascolto delle situazioni dolorose che molto spesso le pazienti le riferiscono.
La vulvodinia rappresenta una sindrome da dolore cronico che colpisce il 12-15% delle donne nella popolazione mondiale. In Italia una donna consulta almeno 7 medici per avere una diagnosi corretta e circa il 30% non riesce ad ottenerla. Una patologia che incide pesantemente sulla qualità di vita delle donne, sulle relazioni sociali e di coppia e che resta spesso nascosta dietro a molti tabù.
Ne parliamo con la dottoressa Antonella Curcio, ginecologa esperta in endocrinologia ginecologica, menopausa e incontinenza urinaria di Firenze
Cosa intende per “fallimento diagnostico e terapeutico”?
Quando una donna arriva a sviluppare dolore pelvico cronico ha già una o più patologie in corso da anni. Il dolore è un sintomo troppe volte disatteso in un’accezione semplicistica e frequente nei confronti della paziente donna che ‘il dolore lo ha in testa’.
Il dolore cronico attiva una sorta di loop perverso, che, come un ciclone, si autoalimenta, incidendo sempre più sulla sessualità della donna e in particolare sulla sua identità sessuale, sulla funzione sessuale e sulla relazione di coppia.
Se non lo capiamo e non interveniamo in tempo, l’incendio – perché l’infiammazione è un incendio biochimico – cambia volto e si propaga. Il danno ai tessuti causato dall’infiammazione si estende alle fibre nervose fino a creare una sorta di cortocircuito nelle vie del trasferimento degli impulsi elettrici del dolore. E così il dolore appare di intensità ben superiore a quanto ci si attenderebbe.
Cosa possiamo fare per non arrivare a questo punto?
Prima di tutto la donna non deve rassegnarsi al dolore e chiedere (e pretendere) aiuto agli specialisti.
Noi medici dobbiamo porre la massima attenzione nell’inquadramento della patologia e nella sua gestione per ottenere risultati in linea con le aspettative. Fondamentale è l’ascolto delle pazienti, bisogna farle sentire a proprio agio anche parlando di argomenti delicati, senza imporre un’anamnesi a volte mortificante. Questo è un punto molto importante per affrontare la patologia del dolore, che in molti casi è connessa all’ipertono del pavimento pelvico causato dalla contrazione difensiva dell’organismo in caso di dolore.
Oggi abbiamo opportunità terapeutiche offerte dalla tecnologia, scientificamente testate, che ci aiutano a migliorare la qualità di vita delle pazienti.
Si parla molto di vulvodinia, anche creando una certa confusione. E’ una patologia molto complessa, che coinvolge aspetti fisici, patologici e psicologici. Quali sono le risorse a disposizione per combattere la vulvodinia legata all’ipertono del pavimento pelvico?
Io utilizzo il dispositivo Dr Arnold, una poltrona terapeutica che, grazie al protocollo specifico per decontratturare i muscoli, è efficace per migliorare la vulvodinia legata all’ ipertono del pavimento pelvico. In estrema sintesi, utilizzando questo protocollo si ottiene una sorta di fisioterapia tecnologica: Dr Arnold emette delle onde elettromagnetiche che stimolano in modo selettivo i fasci muscolari, inducendo contrazioni molto intense e producendo un rilassamento del tono muscolare fino a un riequilibrio del tessuto. La paziente durante il trattamento, grazie alle contrazioni indotte, impara anche a conoscere muscoli per lo più sconosciuti. Per questo si parla di un trattamento rieducativo e di riabilitazione.
I risultati sono ottimi, anche perché la paziente, vestita e comodamente seduta, è molto rilassata, non prova nessun dolore né disagio e questo contribuisce all’azione decontratturante della macchina.